Vetri, Foglie, Frutta: dipingere ciò che si vede Non so davvero se, in qualche futuro manuale di storia dell'arte dei nostri giorni, questi pur così mirabili dipinti di Stefania Russo troveranno qualche spazio, qualche citazione; anche solo in qualche nota a piè di pagina. Non lo so: perché non so quale critico vorrà tenerne conto, aggregandoli a qualche gruppo di affermata riconoscibilità, a qualche tendenza, a qualche corrente che il mercato accetta come valida, come degna di segnalazione sulla stampa. Stefania, in effetti, non si dà un gran da fare, per ottenere un poco di fama. Se ne sta chiusa in un atelier che è in realtà un negozio, per di più collocato in una stradina dell'anonima periferia di una città poco vivace in fatto d'arte contemporanea. Non telefona a critici e galleristi, non scrive e-mail alle persone importanti. E fa le vacanze in Grecia; ma non nelle isole più mondane e trendy, bensì fra i monti dell'interno, fra pecore e rovine di chiese bizantine. Però, ecco, dipinge benissimo. Conta qualcosa questa sua dote, questo suo silenzioso e ostinato applicarsi in un mestiere che in molti, oggi, considerano obsoleto? Probabilmente conta poco per raggiungere notorietà, successo. Ma conta moltissimo (è tutto ciò che conta, anzi) per chi ancor oggi, dopo decenni di orgogliose e anche giustificate ribellioni e distruzioni e sberleffi contro ogni accademia, continua ad avere voglia di godere con gli occhi bella pittura; quella che per millenni, da Aristotele in poi ( e ben prima di lui, già nelle grotte paleolitiche di Lascaux, di Altamira) tenta, sui muri o sulla tela, di seguire l'antica ansia della "mimesi": e cioè si prova a mettere in campo ogni possibile abilità, ogni destrezza di mano per imitare con l'artificio ciò che gli occhi vedono in tutto quello che ci sta attorno. Il rimprovero che oggi, e ormai da più di un secolo, si fa a pittori come Stefania Russo è sempre il solito: non sono inseriti nella main stream della civiltà moderna; ne sono perciò esclusi. Sì; ma, nei millenni trascorsi, e in quelli che verranno, una foglia è sempre una foglia, un limone è sempre un limone, oggi come mille anni fa o fra mille anni. Stefania ritrae queste cose che non hanno tempo, e lo fa sfoggiando una leggerezza e una precisione ammirevole, che sembra possedere senza alcuna fatica; e perciò suscita ammirazione e stupore, come un equilibrista sulla corda, o una danzatrice sulle punte. Sa fare cose che nessuno di noi saprebbe ripetere: che altro si potrebbe pretendere da chi, per mestiere, maneggia colori e pennelli?
La scelta di comporre nature morte utilizzando come soggetti anche elementi della contemporaneità, o forme astratte, è segno di sicurezza e consapevolezza. La qualità della realizzazione è eccellente per la scelta tecnica raffinata e complessa, che si risolve in immagine soffusa, piacevole e di classe.
La giovane artista si sente testimone del suo tempo ed è consapevole della caducità della nostra identità esistenziale. Il suo sguardo è rivolto a ciò che non è condizionamento o frutto di operazioni di livellamento conformistico. Le sue "tracce" materiche sono un segno di rivolta, un modo per sentirsi guidata dall'energia dell'individualità e dal desiderio di poter imprimere, nel suo percorso interiore, il sigma di personali visioni della vita che diano nuovo significato alla ricerca di rivitalizzanti valori per consentire la conquistata decifrazione del proprio campo esperenziale.